La parola "vitalità" può avere significati con diverse sfumature; spesso comunque è associata al bambino piccolo, come esempio di energia espansiva, di forza vitale e propositiva. "Vitalità" fa pensare a "movimento", in quanto è vivo e vitale ciò che si muove. Come psicoterapeuta ritengo però che non tutti i movimenti siano segno di una sana vitalità: distinguerei infatti i movimenti vitali dai movimenti reattivi, ripetitivi e stereotipati, o semplicemente coinvolgenti un solo piano del sé (quale ad es. le posture, o le fantasie, o il linguaggio, ecc.) in modo sconnesso e separato dagli altri. Alcuni movimenti infatti non rappresentano tanto la vitalità originaria, quanto l'impossibilità da parte della persona a fermarsi e 'poter stare' nelle sensazioni e nelle emozioni del qui e ora (certi movimenti continui li possiamo paragonare all'iperattività ed all'instabilità).
Io considero la vitalità come la principale manifestazione di quel nucleo psicobiologico profondo che ogni persona conserva dentro di sé e che costituisce un elemento di integrazione tra le varie componenti e funzioni dell'organismo. Il bambino nasce con una profonda integrazione mente corpo e le diverse forme di scissione o di separazione che si possono riscontrare (anche a volte nei bambini stessi) sono comunque frutto delle vicissitudini educative e della crescita, quando non causate da deficit organici o di altro tipo.
Prima di passare ad illustrare brevemente l'approccio a cui io faccio riferimento, vorrei ricordare che per chi come me opera in una prospettiva multidimensionale e di integrazione psico somatica assume molta importanza, oltre alle fasi precoci dopo la nascita, anche la vita intrauterina. Nello sviluppo prenatale le varie funzioni cognitive, emotive e di regolazione, presenti in forma primordiale, sono estremamente sensibili e modificabili. Molti studi hanno dimostrato la capacità di riconoscimento dei suoni e delle voci familiari da parte del neonato, quindi la sua reattività e graduale capacità di memorizzare le stimolazioni esterne.
"E' noto ormai che quella intrauterina è un'esistenza ricca di stimolazioni sensoriali e umorali provenienti dall'ambiente uterino e che il feto ha molte capacità recettive, percettive e reattive a stimoli interni ed esterni. Si sa che gli effetti dello stress grave e prolungato nella madre agiscono sulla situazione umorale e ormonale del bambino attraverso il sistema ormonale di questa; che il sonno REM della madre ha incidenza sul sonno REM del bambino; che anche un momento di forte emozione, per es. paura, si comunica e agisce sul bambino non con una trasmissione diretta di emozione, ma tramite una scarica di adrenalina, la tachicardia, l'alterazione del respiro. Il sistema di comunicazione diretta tra il bambino e il mondo passa attraverso il fisiologico via cavo (il cordone ombelicale) e via parete attraverso l'utero. Solo il piano funzionale posturale della madre, oltre a quello fisiologico, invia una quota di messaggi direttamente al bambino, ed è quella relativa alla qualità dei movimenti, che possono venire da lui percepiti direttamente nel loro essere bruschi, violenti, a scatto oppure lenti, morbidi, delicati, potendo così influenzarne l'organizzazione del Sé in crescita"
Particolare attenzione merita la respirazione in quanto, a livello fisiologico, oltre all'introduzione di una adeguata quantità di ossigeno, ha una importantissima funzione di regolazione delle risposte neurofisiologiche dell'organismo. Una respirazione profonda produce un aumento della funzionalità parasimpatica con riduzione della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa e della sudorazione, sincronizzazione EEG, riduzione del tono muscolare scheletrico, aumento della secrezione di insulina e di estrogeni. All'opposto, ad una respirazione forzata, contratta o eccessivamente controllata (quindi anche le respirazioni 'falsamente' diaframmatiche ed estremamente controllate dal pensiero) corrisponde un incremento della funzionalità simpatica con aumento della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa e della sudorazione, desincronizzazione EEG, aumento del tono muscolare scheletrico e della secrezione degli ormoni dello stress.
La percezione dei primi movimenti del feto in gravidanza è all'origine di importantissimi cambiamenti nella madre e di conseguenza nella coppia genitoriale: il bambino da semplice fantasia diventa sensazione, inizia ad esistere sul piano percettivo. In qualche modo acquista una sua vitalità e la madre può sentire le prime modalità di comunicazione tra lei ed il figlio, anche se mediate dai sistemi neurofisiologici. La madre quindi reagisce con forti emozioni ai movimenti del bambino che porta in pancia ed anche il bambino a sua volta reagisce alle forti emozioni ed ai cambiamenti della madre, pur se in misura certamente meno elaborata.
Quanto queste esperienze intrauterine si ripercuotano sull'evoluzione del bambino e sulla sua organizzazione funzionale è tuttora oggetto di studio e di dibattito, ma la loro influenza è ormai assodata, tanto quanto l'importanza delle relazioni precoci alla nascita e nei primi periodi di vita. Per quanto i bambini mostrino una forte capacità di adattamento anche a situazioni non ottimali o 'avverse' e non sia facile fare generalizzazioni, chi lavora con i bambini sa che quando scoppiano le difficoltà spesso ritroviamo segni precursori e indici di disagio fin dalle prime fasi di vita.
Una buona gravidanza è sicuramente un fattore favorevole sia per la madre che per il bambino e riveste sicuramente una valido ruolo preventivo.
Nella crescita i bambini devono necessariamente fare i conti con la realtà esterna e trovare forme di adattamento. L'adattamento evolutivo può essere considerato una mediazione continua tra le esigenze personali e quelle ambientali (intendendo ovviamente con 'ambiente' l'insieme delle persone e delle cose con cui interagiamo). "Adattarsi" significa anche modificare se stessi, oltre che cercare di cambiare l'ambiente per renderlo rispondente alle nostre esigenze. In questa complessa interazione si costruisce anche la personalità e si struttura il carattere: l'organismo trova una sua organizzazione interna in cui le varie funzioni si espandono e complessificano in modo più o meno armonico ed omogeneo e nel contempo si acquisiscono modalità ripetitive di reazione.
Come sono solito dire anche ai miei pazienti, ognuno di noi "funziona" nel modo migliore in cui ha potuto "funzionare" in base alla propria storia ed al modo in cui l'ha vissuta. Il risultato molte volte (in una certa misura direi sempre) è che da adulti noi abbiamo delle abitudini di comportamento e di atteggiamento acquisite nella crescita, allora soluzioni migliori, ora non più. Sarebbe come dire che tutti noi ci comportiamo un po' come quando eravamo bambini (nel bene e nel male) e questo è ancora più vero nelle dimensioni affettive e sociali.
Da bambini tutti noi avevamo una carica vitale maggiore di quella che abbiamo adesso: parte di questa carica si è trasformata in organizzazione utile e funzionante, parte è stata sacrificata per adattarsi all'esterno. In questa prospettiva, la psicoterapia appare come un lento e puntuale allentamento di vecchie e rigide modalità acquisite per permettere di liberare forme di vitalità mantenutesi nel 'profondo' della persona, nel nucleo vitale originario. Ritrovare l'antica vitalità significa quindi recuperare la capacità di esprimere quelle emozioni, quei sentimenti e quegli affetti che si erano bloccati nello sviluppo.
Come ultimo relatore di una giornata di interventi in cui la gravidanza viene analizzata in tutti i suoi aspetti, considerando anche la mia esperienza professionale, ho pensato di affrontare il tema della vitalità concentrandomi sulla continuità fra la gestazione ed il periodo dopo la nascita, quando cioè si diventa genitori a tutti gli effetti, ci si prende cura del bambino, si è in un certo senso costretti a dei cambiamenti molto grandi a livello organizzativo, sul piano personale e nelle relazioni affettive.
Per meglio illustrare cosa rappresenti per me questa continuità, vorrei brevemente richiamare i principali aspetti dell'approccio clinico a cui faccio riferimento: la Psicologia Funzionale del Sé.
La Psicologia Funzionale del Sé, elaborata da Luciano Rispoli e da Barbara Andriello, con il contributo successivo anche di altri componenti della SIF (Società Italiana Psicoterapia Funzionale Corporea), è un approccio con una lunga storia, a partire dalle formulazioni di Wilhelm Reich sull'unità di psichico e somatico e sull'importanza di un intervento terapeutico che coinvolga anche il corpo. Nelle attuali formulazioni la Psicologia Funzionale propone un approccio che considera la persona nella sua globalità come una struttura unitaria che si costituisce dinamicamente in una costellazione di processi funzionali psicocorporei, raggruppabili in aree o piani e sottopiani del Sé; tali piani sono inizialmente integrati e nel corso dello sviluppo possono differenziarsi, mantenendo comunque una stretta integrazione. I quattro grandi piani del Sé sono: cognitivo-simbolico (razionalità, ricordi, fantasie, ), emotivo (affetti, emozioni, motivazioni), fisiologico (sistemi e apparati interni), muscolare-posturale (mobilità, distretti muscolari, posture).
In questa prospettiva consideriamo la persona come un organismo che si evolve da una struttura unitaria (fig. 1 e 2) in cui i diversi piani e funzioni sono presenti in forme primordiali (come dimostrano le varie ricerche sulla vita intrauterina) che si evolveranno poi con una sempre maggiore differenziazione e complessità (fig. 3).
Nel modello Funzionale ogni piano e sottopiano del Sé (in altri termini i vari aspetti dell'insieme 'persona') viene considerato in base alla sua qualità - ipotrofia/ipertrofia, sclerotizzazione, ecc. - (fig. 4) e nella sua relazione con gli altri piani. La visione d'insieme trova una rappresentazione visiva nel diagramma funzionale (vedi ad es. il diagramma dello stress, in fig. 5).
Ricordo brevemente che ai fini di un qualsiasi intervento preventivo o terapeutico è importante considerare il carattere, che rappresenta la configurazione del sé nel rapporto con l'esterno, anche per la sua funzione aggregante e unificante rispetto ai livelli di sconnessione. Il carattere infatti sottende all'insieme delle principali modalità di relazione e di rapporto con l'esterno, che si ripetono uguali a sé stesse ed in una certa misura indipendenti dai contenuti e dagli eventi contingenti.
Tornando alla gravidanza, mi preme ricordare che può certamente rappresentare un momento di grande vitalità per la donna, pur se espressa con modi e intensità diversi a seconda della fase o periodo di gestazione. La gravidanza è una delle esperienze più complesse ed importanti nella vita di una donna e comporta profondi cambiamenti e riequilibri, interni e di relazione con gli altri. Basti pensare ad un dato percettivo comune, cioè quello che la donna nei mesi centrali della gravidanza ha solitamente un'espressione distesa e soddisfatta, mostra vitalità e forza (ovviamente se non vi sono particolari difficoltà).
Nel periodo che segue la gravidanza, cioè la maternità, la vitalità diventa forza necessaria per affrontare e gestire questa piccola persona che chiede con forza e che si aggrappa a noi per la sua sopravvivenza. Sarebbe lungo addentrarsi nelle sfumature della maternità e della genitorialità. La mia esperienza nel settore infantile e nel lavoro con i genitori mi ha insegnato che un certo recupero di carica vitale è necessario per affrontare la nascita e la crescita di un figlio. Il figlio ci sollecita reazioni psicologiche, affettive ed emotive molto profonde ed antiche: da un lato ci porta a rivivere (pur in modo non sempre consapevole) le nostre esperienze infantili, dall'altro ci porta ad entrare lentamente nel ruolo di genitori e quindi a far emergere le nostre somiglianze con i nostri genitori di origine e con il loro modo di rapportarsi a noi, cioè il loro stile educativo.
Tutto questo certamente non in una pacifica situazione di riposo e di abbandono alle nostre fantasie, ma in un continuo barcamenarsi tra pannolini, allattamento, coccole, pianti, ansie, rabbie, fastidi, ecc.: in poche parole, in una situazione di forte stress emotivo ed operativo.
Fortunatamente, insieme all'istinto materno che cresce e si manifesta dopo il parto nel rapporto con il neonato, spesso si attiva anche la vitalità e la creatività e la madre riesce a trovare la forza per "sopravvivere" e per dare al bambino il sostegno di cui ha bisogno.
La gravidanza e la maternità coinvolgono un insieme complesso di reazioni e di cambiamenti, il cui aspetto più evidente a noi psicologi clinici è la riproposizione delle precedenti esperienze vissute da bambina ed il riattivarsi di vecchi conflitti o esperienze carenti legate alla propria storia affettiva. A questo proposito ritengo che una organica preparazione alla genitorialità dovrebbe contemplare anche momenti dedicati a questi sentimenti ed a questi aspetti forse meno entusiastici della maternità, ma estremamente importanti quando ci dobbiamo concretamente occupare del figlio. Affrontare gli aspetti problematici della propria storia emotiva in questo particolare periodo espansivo della vita ha lo scopo non tanto di 'risolvere' quelle vecchie questioni aperte, quanto di esplicitarle per sciogliere i principali impedimenti alla possibilità di un contatto con il nucleo profondo del sé, con la propria forza e vitalità che la gravidanza contribuisce ad amplificare e riattivare.
Mi vien da dire che se il riaffiorare dei vecchi problemi relazionali è un po' come trovarsi in un ambiente grigio e nebbioso, il contatto con il nucleo profondo del sé e la propria vitalità è un po' come quando ritorna il sole a scaldare e ravvivare i colori.
Ciò che in modo molto chiaro favorisce il contatto con la propria forza vitale ed espansiva è la possibilità di rivivere (pur in modo parziale e necessariamente diverso dall'infanzia) le esperienze basilari del sé.
«Le esperienze basilari del Sé sono quelle che possono essere considerate essenziali, indispensabili per uno sviluppo equilibrato della personalità. Sono esperienze fondamentali per l'esistenza, che ogni individuo ha attraversato nella propria vita, soprattutto nel periodo della prima infanzia, anche se a volte in modo insufficiente e carente».
Le esperienze basilari del Sé rappresentano 'nuclei' di esperienze fondanti che quando rivissute (ad es. in terapia o in attività formative) hanno una grossa valenza riconnettiva e di reintegrazione. Almeno due di queste esperienze fondanti mi sembrano essenziali in gravidanza e nella crescita del figlio: l'essere presi e l'abbandonarsi.
L'essere presi è una esperienza fondamentale per il bambino, fin dalla nascita con l'essere tenuto in braccio in un certo modo (holding), e gradualmente con modalità differenziate in relazione al momento evolutivo. Ad esempio quando il bambino inizia a camminare ama molto il gioco dello scappare ed essere inseguito dal genitore; alcune volte, quando il genitore ha quasi raggiunto e preso il bambino, questi si volta e gli va incontro, tradendo così il suo desiderio di essere abbracciato.
Poter sperimentare le sensazioni e le emozioni dell'essere presi e dell'essere sostenuti per la donna in gravidanza significa da un lato avvicinarsi ai bisogni del bambino che nascerà e dall'altro iniziare ad abituarsi a chiedere aiuto, appoggiarsi e farsi sostenere: comportamenti che diventeranno importantissimi nel periodo dopo la nascita e nei mesi di 'assestamento' per gradi nella relazione con il figlio.
La madre è chiamata dalle richieste del figlio a dare molto (facilitata in ciò anche da una certa predisposizione istintiva) per cui diventa necessario anche ricevere dall'ambiente affettivo (questo tema aprirebbe il grosso capitolo del rapporto con il partner, delle modificazioni nella coppia genitoriale, della paternità, ecc. troppo ampio per essere trattato in questa sede).
Altra esperienza fondamentale per il neonato ed il bambino piccolo è la capacità di abbandonarsi. Il neonato non ha contraddizioni tra il dentro e il fuori, manifesta ciò che prova: se è arrabbiato urla o piange, se è contento ride, se è sazio si abbandona e si addormenta.
La gravidanza è molto ricca di forti emozioni, di fantasie, di immagini, di aspettative e di cambiamenti; ad una tale ricchezza ed intensità di movimenti spesso la persona reagisce con un senso di paura o di preoccupazione, che porta a rigidità e contrazioni. Sperimentare la possibilità di lasciarsi andare ed abbandonarsi ai movimenti psico affettivi e fisiologici (siano essi piacevoli o spiacevoli, di calma o di paura, di gioia o di dolore) favorisce l'allentamento delle contrazioni e riduce le paure delle reazioni del nostro corpo, anche di quelle legate all'evento del parto.
L'"essere presi" si intreccia con la capacità di "abbandonarsi" in quanto per lasciarmi prendere devo avere una sufficiente fiducia ed accettare di abbandonarmi all'altro. Il neonato addormentato nelle braccia della mamma dopo la poppata rappresenta pienamente l'insieme di queste due esperienze fondamentali. Così come da neonati ci abbandonammo nelle braccia della figura genitoriale, così da adulti ci possiamo abbandonare al funzionamento del nostro organismo. Ciò significa lasciarsi andare al ritmo respiratorio spontaneo, lasciare che il respiro ritrovi il ritmo infantile e l'espirazione profonda avvenga spontanea e non sotto il controllo o dominio razionale. Lasciare il respiro significa non tanto ricercare un ritmo forzato che induca necessariamente rilassamento, ma lasciar andare il ritmo proprio di quel preciso momento, in cui magari affiora un'emozione di tristezza, di dolore, di rabbia, di paura o di desiderio e di piacere. Riconoscere dentro di sé questi sentimenti è il primo passo per accettarli e capirne il significato in merito alla propria storia personale e in relazione alla fase evolutiva che il figlio sta attraversando (ed in qualche misura noi con lui), rendendoli così elemento portante e stimolante nel rapporto educativo.
Potremmo dire che più la donna in gravidanza può vivere tutta la gamma delle emozioni nella pienezza dell'espressione affettiva, più sarà ampia, profonda e completa la sua vitalità, maggiore sarà la sua capacità di gestire il rapporto con il figlio e la sua possibilità di recupero nei momenti di stress. La capacità di abbandonarsi contribuisce anche a rendere più completa e profonda la regressione spontanea tipica della maternità, che favorisce una profonda identificazione con il neonato e permette così di comprenderne le richieste e soddisfarne i bisogni.
Le nostre ritrovate capacità di "abbandonarci", di "essere presi" e di "prendere" formano una solida base che ci permette di attingere a tutta la nostra carica vitale per rispondere adeguatamente alle continue diversificate richieste che giungono dal bambino piccolo, espressione massima di vitalità. In questo modo riusciamo a vivere pienamente e godere le gioie dell'essere genitori e del percorrere insieme a nostro figlio il cammino della sua crescita, sempre troppo rapida ai nostri occhi.
23.10.1999 - www.bullismo.it - www.facchinetti.net
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